FONDATORE
Don Giovanni Battista Quilici
Sacerdote diocesano – Parroco –
Fondatore della Congregazione delle Figlie del Crocifisso
G.B. Quilici nasce il 26 aprile 1791, nella irrequieta Livorno di fine secolo XVIII, città che presenta tutte le caratteristiche di un “porto di mare”, aperta e cosmopolita, con popolazioni, usi e costumi provenienti da tutto il mondo, ma anche con grandi sacche di miseria, marginalità e corruzione. Giovanni Battista, figlio di un artigiano di vasi di creta, cresce e si forma nel periodo di sconvolgimenti politici e sociali iniziati con Rivoluzione Francese, che colpiscono particolarmente Livorno, a causa del suo porto, soprattutto nel periodo napoleonico; egli rimane profondamente segnato dalla miseria della sua gente e dai suoi bisogni materiali e spirituali. Studia fin da bambino dai Padri Barnabiti a S. Sebastiano, dove intreccia profonde e durature amicizie, e frequenta la comunità dei Padri Domenicani presso la chiesa di S. Caterina. Nell’ascolto della Parola e della realtà che lo circonda, matura la vocazione alla consacrazione e si orienta ai Domenicani, ma, a seguito della soppressione napoleonica, nel 1811 chiede di entrare nel clero diocesano. Inizia il percorso formativo nella scuola teologica dei Barnabiti, rimanendo in famiglia, perché a Livorno non c’è il seminario.
Ordinato sacerdote il 13 aprile del 1816, di sabato santo, a Pisa perchè Livorno è sede vacante, è assegnato come vice parroco alla parrocchia di San Sebastiano, su richiesta degli stessi Barnabiti che vi operano, e vi rimarrà per circa 20 anni. La chiesa si trova vicino al porto, situata tra le strade più malfamate della città. Vive in una stanzetta presso la sacrestia e qui, nell’ascolto di Dio e della sua gente, egli avvia e porta a maturazione la risposta che nasce nel suo cuore sacerdotale. La sua predicazione tocca i cuori e suscita conversioni; l’impegno pastorale è un incessante alternanza dal servizio della Parola, anche in orari e forme inusuali per raggiungere tutti, a quello del confessionale, dalla catechesi alla dedizione a bambini e giovani di ogni tipo, dagli indigenti della strada ai tuguri delle famiglie più povere e degli ammalati. Vive con intensità tutti gli aspetti ordinari del suo ministero, ma con il cuore del buon Pastore, sente di dover prendere a cuore le “periferie esistenziali” della sua città.
A tarda notte don Giovanni è in chiesa, in intensa preghiera, nella contemplazione di Gesù Crocifisso e in adorazione davanti all’Eucarestia: lì egli attinge l’energia per vivere la sua missione sacerdotale, che percepisce e vive come continuazione del sacerdozio di Gesù. Nel volto del crocifisso contemplato nella preghiera notturna egli riconosce il volto del povero, del detenuto, della giovane prostituta e di ogni fratello che incontra nelle sue giornate, e viceversa, in loro riconosce il volto di Cristo sofferente; soprattutto a questi fratelli sente di dover offrire l’amore di Gesù, che dona la vita per ogni singolo uomo.
La città è in espansione e si moltiplicano i problemi etico-sociali: il suo sguardo di compassione coglie negli occhi di chi incontra l’anelito di redenzione e porta in cuore ogni pena e ogni speranza. Incontra molte giovani prostitute desiderose di una vita diversa, e così nel 1819, con le offerte ricevute nella predicazione e quelle di persone amiche, inizia a mantenerne alcune, affidandole a famiglie da lui preparate. Il numero delle “convertite” cresce rapidamente. Egli avverte la precarietà della loro permanenza nelle famiglie, soprattutto a causa degli sfruttatori, e sente l’esigenza di dare maggiore stabilità a questo suo ministero. Inoltre, nei sobborghi della città, aumentano le “povere fanciulline” abbandonate a loro stesse. Nella mente del Servo di Dio si fa strada l’idea di costruire una grande casa e di fondare una Congregazione di “donne consacrate” a cui affidare il suo “sogno” educativo e redentivo. Sorgerà così “l’Istituto di carità di Santa Maria Maddalena” e successivamente la Congregazione delle Figlie del Crocifisso.
Il suo sguardo di tenerezza coglie la situazione di abbrutimento in cui vivono i condannati ai lavori forzati che escono ogni giorno dal “Bagno penale della Fortezza Vecchia”. Nel 1822 ottiene di entrare in questo luogo di pena e si fa strumento di consolazione e di umanizzazione. Ottiene per i detenuti condizioni di vita più rispettose della dignità umana e propone una riforma carceraria, che coinvolge anche le guardie, applicata anche in altre carceri del Granducato.
Riunisce i giovani in un’associazione e ne cura la crescita umana e spirituale; la sera, nella sua canonica, raduna i ragazzi più poveri e insegna loro a leggere, scrivere, cantare e pregare.
Nella sua missione tra gli ultimi coinvolge tutte le componenti sociali, dalla famiglia granducale alla gente del popolo, attivando la dinamica del “crescere insieme” per il bene comune. E’ un uomo di dialogo e mette in comunicazione bisogni e risorse per far crescere la giustizia e la fraternità.
Ama la sua Città e la sua giovane Diocesi, che muove i primi passi, ancora priva del Pastore per lunghi periodi, e cerca di farle crescere, con intuizioni e modalità che si faranno strada solo dopo il Concilio Vaticano II.
Fonda un’associazione di laici, i “padri di famiglia”, per la santificazione della famiglia e del lavoro, per l’educazione dei giovani, il servizio ai poveri, agli ammalati e ai carcerati; questa forma un tutt’uno con l’associazione dei sacerdoti, gli “Operai evangelici”, finalizzata alla loro formazione dei preti, al sostegno reciproco e alla crescita della comunione tra loro e con il Vescovo.
Cosciente di quanto fosse inadeguata alle nuove esigenze la formazione del clero, chiede ed ottiene dal Granduca il terreno per costruire il Seminario diocesano e ne disegna il progetto.
Vive un grande amore a Gesù Redentore; in Esso riconosce l’espressione massima dell’amore di Dio per gli uomini. Dalla contemplazione del Cristo Crocifisso è spinto sulle strade della sua città alla ricerca del fratello umiliato e crocifisso, nel quale Gesù si è identificato. La sua vita è sostenuta da una profonda spiritualità Mariana, scaturita dal suo cristocentrismo. La sua fede gli permette di superare ostacoli e pregiudizi, affrontando calunnie e persecuzioni, cercando solo “la gloria di Dio e il bene del prossimo”. Vive una profonda umiltà, che lo porta a ricusare sempre onori e i riconoscimenti. La sua grande Carità, attinta nel Cuore di Cristo, gli dona una grande fiducia verso ogni essere umano, qualunque sia la sua storia, provenienza e condizione di vita; questo amore lo spinge, seguendo il “buon Pastore” a dedicarsi anche alle persone più difficili e lontane, convinto che nessuno può andare perduto perché “costa il sangue di un Dio”.
Nel 1835, mentre con immense fatiche sta completando l’Istituto di Carità di S. M. Maddalena, diviene parroco nella nuova chiesa di Ss. Pietro e Paolo e le sue responsabilità apostoliche si moltiplicano. Nello stesso anno, scoppia l’epidemia del colera che sconvolge Livorno seminando morte e desolazione. L’Istituto sembra il luogo preparato dalla Provvidenza per accogliervi gli ammalati: servendoli con dedizione contrae egli stesso la malattia, dalla quale guarisce provvidenzialmente. Si fa “padre e protettore” degli orfani e fa di tutto per iniziare ad accogliere le “povere orfanelle” nel suo Istituto ormai pronto. Pensa anche ad un’opera per i maschi, ma dà la precedenza all’educazione della donna in quanto ritenuta artefice principale nell’educazione delle nuove generazioni e quindi perno della famiglia e del rinnovamento sociale e spirituale.
Il pensiero iniziale di “fondare” una Congregazione viene sostituito con la proposta, da parte del Vescovo di far venire le suore di S. Giuseppe di Torino. Dopo anni di trattative le medesime rinunciano per l’impossibilità, causata dal giurisdizionalismo, di vivere le proprie Costituzioni.
A quel punto don Quilici ritorna alla sua prima ispirazione, scrive le Costituzioni e, dopo infinite difficoltà e ostacoli, con le cinque giovani livornesi che, condividendo da anni la sua passione educativa e redentiva attendevano di consacrarsi a Dio, fonda la Congregazione delle Figlie del Crocifisso; il 13 settembre del 1840, per mano del Vescovo Mons. Cubbe, si celebra la prima vestizione e l’erezione canonica della Congregazione.
Don Giovanni nei suoi ultimi anni, tra molte difficoltà, mentre si dedica alla nuova parrocchia, con le suore continua a seguire le giovani e le bambine accolte nell’Istituto di S. M. Maddalena, allestisce laboratori di vario genere per dare loro una professione e autonomia economica, apre scuole popolari per le fanciulle povere, convitti per le orfane e per quelle a rischio, pur senza escludere l’educazione delle benestanti. Il suo progetto educativo, che prevede l’educazione globale, è attento alla crescita di ogni persona; si dà nutrimento, accoglienza affettuosa, istruzione e lavoro, educazione alla fede, per la crescita in umanità e come figli di Dio.
Cura con particolare dedizione la formazione spirituale e carismatica delle giovani Figlie del Crocifisso ed insiste tenacemente con l’autorità governativa giurisdizionalista per ottenere l’approvazione completa e definitiva delle loro Costituzioni; egli morirà senza aver visto realizzato questo sogno.
Le sue energie vengono meno, ma la passione per Dio e per l’uomo si intensifica ancora di più; egli si abbandona fiducioso alla divina Provvidenza, affidando alle Sue mani i molti progetti incompiuti.
Muore santamente a Livorno il 10 giugno 1844, all’età di 53 anni, nel giorno del Corpus Domini, lasciando nella Chiesa e nella Città un grande vuoto, ma anche una luminosa testimonianza evangelica.
Il suo corpo riposa a Livorno, nella parrocchia dei Ss Pietro e Paolo, in una cappella a parete comunicante con l’Istituto di S. M. Maddalena.
La Causa di Canonizzazione del Servo di Dio, fa i primi passi nel 1952. Celebrata in sede diocesana a Livorno dal 1994 al 1998, è attualmente in sede romana. L’eroicità delle sue virtù, valutata dai Consultori Teologi il 20 ottobre 2015, è stata approvata dalla Consulta dei Vescovi e Cardinali il 1 marzo 2016. Papa Francesco ne ha autorizzato la Venerabilità nell’udienza del 3 marzo 2016.
Il 2016 è stato un anno particolarmente dedicato a don Giovanni Battista Quilici: proposto dalla sua Diocesi come “testimone privilegiato della Misericordia del Padre”, nell’Anno santo della Misericordia; nel mese di Aprile 2016 si sono celebrati inoltre 225 anni della nascita e del Battesimo e i 200 anni dell’Ordinazione Sacerdotale.
Anche il 2019, anno 175° della sua morte, memoriale del compimento della sua vita donata a Dio e agli uomini, è stato un anno dedicato a raccogliere la sua eredità per continuare a sviluppare i semi di Vangelo seminati nei solchi della Chiesa di Dio.
Alcune parole conclusive dei Consultori teologi riassumono il significato della sua testimonianza:
Il Servo di Dio Giovanni Battista Quilici fu un sacerdote dotato di un notevole spessore umano. Anticipò di secoli quella che oggi è chiamata la “Chiesa in uscita”, divenendo un testimone fedele dell’amore misericordioso di Dio. […]Egli operò in un periodo particolarmente tormentato, indirizzando il suo apostolato verso le “periferie esistenziali”: prostitute, poveri, fanciulli abbandonati, carcerati. […] Aveva la capacità di guardare con gli occhi della fede la realtà umana segnata dal peccato e dalla sofferenza; si adoperò per restituire a questa umanità dignità e speranza. Attento alle esigenze delle persone che avvicinava ed in particolare a quelle delle categorie disagiate, donò se stesso per migliorare le condizioni dei carcerati, per riabilitare le prostitute ed educare i bambini abbandonati. A questi scopi fondò la Congregazione delle Figlie del Crocifisso ed altre Opere di assistenza che tuttora danno i loro frutti.
Non mancarono difficoltà e ostacoli che il Servo di Dio affrontò, abbandonato alla volontà del Signore e fiducioso nella Divina Provvidenza. La ricerca della giustizia per amore dei fratelli lo portò ad un apostolato di frontiera che gli cagionò opposizioni e calunnie. Il Servo di Dio non si arrese mai. Fu perseverante, paziente e disponibile, coerente sino alla fine alle sue scelte.
La sua forza aveva origine nella costante preghiera e nell’adorazione del Santissimo Sacramento. La spiritualità del Quilici era centrata sulla mistica della Croce: l’amore per il Crocifisso lo portò a ricercare in ogni uomo la parte buona che c’è in ciascuno come impronta del Creatore. Il Servo di Dio fu desideroso di trasmettere l’amore di Dio ai fratelli, soprattutto ai sofferenti, per incoraggiarli e riscattarli. Il Quilici fu lungimirante nel comprendere l’importanza della donna nella ristrutturazione della società e nel chiamare i laici a collaborare nella “casa comune”. Cercò di creare comunione anche fra il clero.[…] E’ una figura attuale di sacerdote generosamente dedito al ministero pastorale nelle periferie esistenziali.
Indirizzi per comunicare:
Figlie del Crocifisso
Via Portuense 750 – 00148 Roma
Tel 06 6550144
Curia Vescovile di Livorno
Via del Seminario 61-57122 Livorno
wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Battista_Quilici
sito dei santi e beati http://www.santiebeati.it/dettaglio/96677